sabato 7 giugno 2008

“C’est inadmissible, on paye le billet hors de prix et on n’est même pas sûr d’arriver à l’heure »

Mi sembrava stranissimo poter immaginare che ci potessero essere problemi a Tiburtina alle 2 del pomeriggio. Ma siccome sono molto influenzabile c’avevo creduto davvero.
La gente non ebbe il minimo atteggiamento aggressivo nei miei confronti, anzi, molti sorridevano vedendo quanto sembravo imbranata con le mie borse e il mio bellissimo fiore giallo e verde. Non vi dico quanti gelosi ho incontrato passeggiando nelle vie del centro di Roma. Tutti invidiosi a chiedermi: ma, “da dove viene questo fiore?”
“Da un mondo magico” risposi a tutti. E avevo pure voglia di aggiungere “nel quale possono entrare solo quelli che, pur avendo più di 14 anni, continuano a vivere in un mondo magico”... ma non lo feci per non provocare un overdose d’invidia che avrebbe potuto creare ingorghi negli ospedali.
A Roma, ho lasciato lo zaino pesante al deposito bagagli e poi ho girato la città.
Piazza Barberini, fontana di Trevi, Giolitti (pur non avendo assaggiato tutti i gelati di Roma, considero, da quando ho mangiato il primo gelato da Giolitti, che quelli di Giolitti siano i gelati migliori di Roma), piazza Navona, piccole vie, piccole vie, metro, Termini, Treno.
Fui molto sorpresa di vedere quanti turisti c’erano e quanta noia sembravano provare.
Quando li guardavo mi chiedevo come mai questi qua continuavano a spendere fior di soldi per viaggiare mentre sembravano sempre stanchi e indifferenti.
La notte, dormii come un neonato.
Alla mattina, ebbi l’occasione di fare un confronto tra le métro parigino e il metrò romano. Oltre alle ruote, hanno un punto comune: tutti e due pubblicizzano l’insegnamento dell’inglese. Da: “3500 studenti hanno scelto i nostri insegnanti madrelingua. E tu?” a: “Tu n’as pas le temps d’apprendre l’anglais? Mets un professeur dans ton téléphone !”
Ma, mi chiedo : perché vogliono tutti farci studiare l’inglese ? Perché vogliono renderci tutti uguali, immedesimati da una lingua comune e magari pure da un atteggiamento identico: controllo il mio telefonino ogni 5 minuti e arrivato a casa, mi sprofondo nella poltrona davanti alla tivù? Preferisco continuare ad ignorare la risposta.
La differenza, però, tra il metrò romano e le métro parigino è musicale. È difficile che uno vada a Parigi e faccia un viaggio in metro senza incontrare un musicista che suona per gli ingrati viaggiatori e chiede una legittima monetina con il suo cappello. Legittima, almeno ai miei occhi. Anche quando il suddetto musicista canta più male di un’intera squadra di calcio o suona come se avesse appena iniziato la prima elementare, mi riempiono sempre il cuore di gioia. Grazie alle loro umili rappresentazioni, mi sento a Parigi.
Mi sento, quindi, sia sul punto di partire lontano per scoprire un angolo del mondo ancora inesplorato, sia sul punto di tornare a casa. Nei due casi, è bellissimo. E da anni per me, Parigi è questo: “ecco fatto, parto” oppure “ecco fatto torno”.

Adoro i lunghi viaggio in treno. Perché è una transizione essenziale tra il luogo dove ero e il luogo dove sarò.
Sarebbe stato assurdo essere venerdì mattina alle 6.30 in piazza Marconi con Cesare e poche ore dopo a casa mia, in via “del Quinconce”.
Avevo bisogno di lasciare Locorotondo pian pianino. E così fu.
Prima con il lungo viaggio in autobus, caldo afoso e pausa cappuccino. Dopo con la passeggiata romana, bellissima camminata e pausa foto. Poi, con l’arrivo del treno, prime voci francesi e ultimo pezzo di pizza. Quindi, con l’incontrare sempre più francesi e fargli credere che io fossi italiana, solo per non avere ancora da parlare in francese... conservare quest’illusione che ancora sono in Italia, fino all’ultimo momento. Infine, con l’attravesare la stazione di Bercy, ultimo corridoio italiano, prima di inoltrarmi nella grande e bella Parigi piena di francesi e di scritte in francese e di metro nonché musiciti francesi.
A questo punto, ero quasi tornata.
Fui tornata in modo definitivo quando sentii gente lamentarsi del ritardo del treno per Angers “C’est inadmissible, on paye le billet hors de prix et on n’est même pas sûr d’arriver à l’heure, quelle honte. Je suis attendue pour un mariage et je vais devoir me préparer en une heure. Mais je vais me plaindre ! De toute façon, ça ne servira à rien, vous connaissez la sncf ». Cerca uno sguardo complice questa ragazza incazzata nera ma non lo trova. Almeno non nel mio sguardo ancora troppo pieno di lungomare e di valle d’Itria per sembrare minimamente arrabbiato o deluso o dispiaciuto o.
Felice Il mio sguardo è felice.
Felice di essere così fortunato.
Fortua immensa di aver vissuto momenti così belli.
Grazie

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